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IL VALORE EDUCATIVO DELLE ARTI MARZIALI

IL VALORE EDUCATIVO DELLE ARTI MARZIALI

Come scrive Musashi “l’arte della sciabola è l’arte pragmatica”. Le arti marziali erano originariamente arti pragmatiche, occorreva quindi che fossero utili ed efficaci.
Si praticavano e si insegnavano arti marziali con lo scopo di utilizzarle efficacemente nel combattimento. Non ha molto senso parlare del valore educativo delle arti marziali alla loro origine: il loro valore educativo era limitato nell’ambito della classe guerriera.
Per quanto concerne le arti marziali Giapponesi, esse sono divenute una disciplina educativa a partire dal periodo in cui la classe guerriera scomparve e le arti marziali persero quel ruolo di utilità nella società. Schematicamente parlando, quindi, è a partire dall’epoca Meiji, quando l’ordinamento feudale venne abolito e la classe guerriera scomparve.
Precedentemente, durante il periodo feudale, le arti marziali erano per i guerrieri il mezzo per affermare il proprio rango nella società e inoltre dominare altri strati di popolazione.
Ogni ordine feudale aveva il suo modello educativo e le arti marziali erano riservate ai guerrieri per i quali questa pratica era il mezzo privilegiato per affermare il loro posto sociale. Non era certo una pratica per il tempo libero.
Le arti marziali Giapponesi durante il periodo feudale erano strettamente connesse alla giustificazione di un sistema feudale molto gerarchico. I guerrieri venivano educati a impegnare la loro vita nel mantenere questo sistema.
L’educazione dei guerrieri era basata sulla morte. Un guerriero, anche se non sapeva battersi bene,
era rispettato se sapeva morire degnamente. Un guerriero valoroso, anche un maestro d’arti marziali, se evitava di morire nel momento ritenuto necessario, veniva disprezzato per tutto il resto della vita.
Ma non si trattava solo della morte, ma della morte degna, della morte come atto di sincerità, come impegno totale del proprio essere. Questa idea impregna tutti gli ordini sociali in Giappone e forma nei Giapponesi una tendenza generale a valorizzare l’impegno della propria vita per fare qualche cosa.
Io vi vedo un modello, un prototipo sul quale si formano le arti marziali moderne a partire dall’epoca successiva.
Io penso che il valore educativo delle arti marziali come lo vogliamo intendere oggi si basa
fondamentalmente su questa idea di impegnarsi in qualsiasi attività come investimento della propria vita. Questa concezione è ripresa nel Budo moderno nell’epoca in cui la classe guerriera scompare e le arti marziali perdono il loro ruolo sociale.

Judo: l’inizio del budo moderno
Per quanto concerne le arti marziali Giapponesi, i guerrieri non le praticavano come noi le immaginiamo oggi. Le arti marziali sono diventate discipline educative dopo il periodo Meiji che inizia nell’anno 1868.
Per il cambiamento qualitativo delle arti marziali nell’epoca moderna, ci sono fattori multipli, ma dobbiamo sottolineare il contributo di Jigoro Kano. Perché è lui il primo che ha saputo situare chiaramente e con precisione il ruolo educativo delle arti marziali nella nuova società Giapponese.
Fondando la nuova disciplina, il Judo, egli ha saputo ricostruire il valore del guerriero nell’idea moderna dell’educazione fisica. Vedremo chiaramente il concetto moderno di Budo nel Judo fondato da Kano.
Non dimentichiamo che il Judo è stato fondato da un giovane di 22 anni sulla base dei suoi studi e di addestramento di appena 5 anni. Chi può oggi immaginare di fondare una nuova disciplina di budo in solo 5 anni di lavoro e in un’età così giovane?
Certo Jigoro Kano aveva il talento, ma non possiamo ignorare il periodo particolare in cui egli viveva.
Kano comincia ad imparare il Jujutsu a 18 anni e la sua motivazione di partenza era molto semplice: non soccombere nelle zuffe a scuola.
Comincia quindi a cercare un maestro di Jujutsu, ma in quel periodo pochissimi maestri lo insegnavano. Aveva delle difficoltà a trovare un maestro. Una volta trovato il maestro di jujutsu, persevera con passione parallelamente ai suoi studi.
Egli scrive: “A quell’epoca rientravo a casa appoggiandomi ai muri delle altre case, talmente ero spossato dopo l’allenamento. A scuola mi avevano soprannominato Kano-pomata. Poiché mettevo della pomata dappertutto per curare le mie ferite”.
Via via che progrediva nel Jujutsu si rendeva conto dell’importanza dell’esercizio corporale e si formava poco a poco la sua idea sull’educazione dell’uomo.
Ottenuto l’atto di successione della scuola di Jujitsu, egli apre la scuola privata Kodokan all’età di 22 anni. È l’inizio del Judo, ma non è un inizio facile.
Era il periodo in cui il Giappone era in contrapposizione con il passato, i Giapponesi rifiutavano le culture legate al passato, soprattutto quella dei guerrieri. Dopo la restaurazione di Meiji, la maggior parte dei vecchi Samurai era disoccupata. Le armi, la sciabola, la lancia, le armature erano state egualmente abbandonate. Se gli antiquari le comperavano, era a prezzi irrisori.
Il Kenjutsu era svilito e pochi lo praticavano. È in questa situazione che Kenkichi Sakakibara organizza uno spettacolo di combattimento di Kenjutsu prendendo a modello il Sumo, lotta tradizionale giapponese. Egli riceve delle critiche severe, perché ha degradato la nobile arte dei guerrieri a spettacolo per guadagnare del denaro. È un insulto inaccettabile per certi guerrieri, ma la maggior parte di loro moriva di fame. Non c’era altra soluzione.
In ogni caso il Kenjutsu è sopravvissuto in questo modo e si trasformerà più tardi nel Kendo moderno.
Jigoro Kano non insegnava unicamente Judo. Il Kodokan era la scuola di educazione globale dell’uomo: Judo e conoscenze culturali. Mirava alla formazione dell’uomo nella società in costruzione.
Dell’idea di educazione Jigoro Kano si chiede:
“Qual è il senso della vita dell’uomo in questa società, in questo mondo? Come si deve vivere? Con quale prospettiva si deve formare l’uomo?”
Egli si dice: L’uomo non deve vivere unicamente per il proprio interesse. La vera felicità dell’uomo è impegnarsi per realizzare il proprio bene e il bene altrui, per la collettività, per lo stato Giapponese in via di ricostruzione.
La ricerca del bene nella vita privata deve concordare con quello del bene per la collettività.
È per questo che dichiara ai propri allievi: “ Diventate i pilastri dello Stato”.
Cosa significa questa frase?
Attraverso la pratica rigorosa del Judo bisogna rinforzare il corpo e lo spirito. Occorre non solo allenarsi regolarmente, ma nello stesso tempo bisogna studiare per dominare il sapere moderno.
Jigoro Kano stesso studia all’università e si avvicina al pensiero scientifico occidentale.
Gli allievi si fortificano il corpo praticando Judo. Per Kano il principio dell’efficacia del Judo è universale e deve essere applicato a tutte le attività umane: negli studi, negli affari, nella politica…
Progredire nella pratica del Judo deve significare essere capaci di riuscire a dominare la vita pratica.
In effetti un numero importante di uomini di stato, uomini d’affari e militari sono usciti dalla scuola Kodokan di quell’epoca. Direi che l’ideologia del Kodokan era basata sull’idealismo pragmatico volontario. Io vedo nel pensiero di Jigoro Kano un’ideologia simile all’etica protestante per la formazione del capitalismo di cui parla Max Weber.
Il concetto del Judo si accordava perfettamente alle necessità del Giappone di quell’epoca: lo stato in via di ricostruzione capitalista. I vecchi scolari del Kodokan hanno imparato ad impegnarsi a fondo nel loro ambito sociale. Se riuscirono, è perché seppero applicare i principi del Judo.
Le brillanti carriere degli allievi di Kano nel Giappone di quell’epoca valorizzarono il Judo e stabilirono la reputazione del Kodokan.
Il pensiero di Kano e il posto sociale del Kodokan furono modello per le altre discipline del budo.
Il Kendo e le altre discipline tradizionali adottarono il modello del Judo per riorganizzarsi nella nuova società Giapponese. Per esempio, il concetto di grado “dan” comincia a generalizzarsi in tutte le discipline del budo prendendo ad esempio il judo.
L’inizio del Ventesimo Secolo fu l’età d’oro del Budo giapponese.

Concetto: la tecnica, l’uomo
Il Judo è una disciplina moderna e possiamo dire che il concetto del budo moderno è nato con il Judo e con il Capitalismo in Giappone.
Il Budo mira alla formazione globale dell’uomo. La tecnica non viene considerata come l’equivalente dell’oggetto da utilizzare, ma come espressione globale del valore dell’uomo. La qualità tecnica è l’espressione della qualità dell’uomo. Questo concetto tecnico è molto antico in Giappone sia nelle arti che negli artigiani. Per i Giapponesi, l’oggetto prodotto è qualcosa di più dell’espressione dell’uomo che lo ha prodotto. Se lo spirito è cattivo, l’oggetto prodotto è cattivo. Il prodotto dell’arte viene connesso con la personalità dell’artista. Nell’arte della sciabola si dice:
“Se lo spirito è corretto, la sciabola è corretta; se lo spirito è cattivo, la sciabola è cattiva.”
Così la sciabola, arma per uccidere, diventa il mezzo per la formazione dell’uomo.
In questo principio, la tecnica non è concepita come uno strumento da utilizzare, ma la tecnica è l’uomo.
Questo particolare concetto Giapponese si muove nell’idea del Budo moderno il cui scopo è la formazione dell’uomo. Colui che eccelle nella tecnica del Budo è colui che è buono come persona, colui che eccelle nel Budo è colui che raggiunge il livello superiore nel cammino dell’uomo.
Nel Budo la tecnica eccelsa è spesso qualificata come “kami wasa”, tecnica divina.
L’associazione di divinità alla tecnica umana qui è significativa.
Certo si tratta di una forma di idealismo semplice, ma notiamo bene che è qui il punto di partenza del valore educativo delle arti marziali moderne che i Giapponesi hanno concepito. Il judo è costituito effettivamente con questo concetto.
Confusione di concetto, cambio di pratica.
Nel corso del Ventesimo Secolo, l’idea di Budo si confonde entrando in contatto con la cultura ed il pensiero occidentale ed anche in rapporto al sistema economico mondiale. Qui salto volontariamente l’analisi sulla prima metà del Ventesimo Secolo a causa del poco tempo che ho a disposizione.
Il concetto di Judo come principio universale è stato radicalmente messo in causa ai Giochi Olimpici di Tokio del 1964.
La disfatta del Judo Giapponese ha sconvolto non solo i judoka, ma tutta la popolazione Giapponese. Per quelli che si dedicavano alle arti marziali, fu il crollo di un mito. I Giapponesi erano costretti ad ammettere un fatto: un piccolo non può battere un grande, l’agilità non può dominare la forza.
Dopo questo periodo, venne messo in discussione non solo il metodo di insegnamento, ma anche il concetto di Budo nel quale i Giapponesi credevano: la formazione dell’uomo attraverso il Budo.
E questo perché occorreva ammettere che le capacità in combattimento non hanno niente a che vedere con il valore di una persona, poiché chi è forte fisicamente vincerà anche se è mediocre come persona. La divisione per categorie di pesi è diventata incontrovertibile e per quelli di categorie di peso superiore il vantaggio in peso è diventato importante come il progresso nella tecnica. Ci sono degli adepti Giapponesi che praticano Judo come via, ma sul piano internazionale il Judo evolve in una diversa direzione.
La critica è venuta dai Giapponesi: il Judo, la via dell’agilità, è diventato Godo, la via della durezza o della forza. Nella realtà della competizione del Judo, dove si trovano l’eleganza e la bellezza tecnica che si vedono nel kata del Judo?
La differenza fra il Judo di Jigoro Kano e lo Judo di oggi è evidente: come la si può spiegare?

Fatalità o possibile alternativa
E’ una fatalità nell’evoluzione oppure c’è un’alternativa?
Noi non possiamo trovare una risposta se consideriamo sport o Budo separatamente; perché abbiamo appena visto che Judo o Budo sono un prodotto culturale, storico e sociale.
A mio parere per quanto riguarda l’evoluzione del Judo questa dimostra semplicemente e chiaramente la logica stessa dell’evoluzione capitalista del mondo attuale. In questo quadro non c’è alternativa. Non solo il Judo ma la pratica sportiva del Budo di oggi è una manifestazione corporale della logica della nostra società. Fermo qui la mia analisi su questo aspetto.
Torniamo alla riflessione di partenza. Perché Jigoro Kano ha potuto pensare che la pratica del Budo poteva essere il mezzo di formazione globale dell’uomo?
Il suo pensiero di origine è attraversato da una forma di opportunismo Giapponese. Io non utilizzo questa espressione nel senso peggiorativo. Egli credeva nell’uomo con le sue qualità di autocritica e una tendenza verso l’autoformazione.
Per esempio, nel combattimento di Judo, ci sono regole per garantire la sicurezza ed è vietato colpire. Dunque i contendenti si avvicinano senza il timore di prendere colpi ed entrano direttamente nel combattimento corpo a corpo.
Ma per Jigoro Kano poiché Judo è il Budo, anche se ci sono delle regole gli avversari devono essere pronti a parare eventuali colpi. Occorre che i judoka sviluppino le capacità in forma di combattimento, a partire dal principio del Judo.
Non si tratta di ridurre il Judo a combattimento per delle regole, ma bisogna sviluppare differenti capacità grazie a regole che assicurino la sicurezza.
E’ in questo senso che egli si era interessato al Karate, quando il Karate venne introdotto per la prima volta da Okinawa. Egli era interessato all’arte del bastone, al Kendo ed anche alla Boxe inglese. Egli introdusse nel judo le varie discipline per praticarle con il principio del Judo.
Egli voleva costituire un’arte marziale perfetta con il Judo, perché pensava che il principio del Judo doveva applicarsi a tutte le attività della vita umana.
In questa maniera Jigoro Kano voleva allargare il Judo, mentre il Judo attuale si è ridotto in pratica ad utilizzare abilmente delle regole per guadagnare dei punti. Anche se si agisce in modo disonorevole dal punto di vista del Budo, tutto è permesso se si resta nel quadro delle regole. Il combattimento di Judo attuale si svolge in un modo che sorprenderebbe Jigoro Kano se egli lo vedesse.
Ho preso l’esempio del Judo perché è la disciplina sportiva del Budo più importante oggi, ma la situazione è la medesima per altre discipline delle arti marziali.
Perché il Budo di oggi riprenda il pieno senso educativo penso che occorra ritornare al punto di partenza della sua creazione.
Il criterio di giudizio del valore risiede in noi stessi e non nelle regole.
Prima che i giudici decidano se avete combattuto bene oppure no, siete voi che dovete essere coscienti di quello che fate.
Siete pienamente voi stessi quando eseguite una tecnica? Non vi sentite agitati quando l’avversario vi ha respinto? Siete capaci di dominare la volontà dell’avversario quando eseguite una tecnica? Siete stati in grado di sviluppare una tecnica soddisfacente?
Non sono gli arbitri che risponderanno a queste domande. Siete voi stessi che lo dovete sapere.
E’ sviluppando quella sensibilità che permette di vedere se stessi da angolazioni severe per correggersi che le arti marziali acquistano un senso educativo. Poiché le arti marziali sono fondamentalmente la pratica di auto-educazione. Non è un’altra persona che ci educa, ma noi stessi.
Riflettendo su quello che accade dentro noi stessi durante l’allenamento ed il combattimento, noi possiamo confrontarci con l’energia che passa nel nostro corpo. Noi capiremo poco a poco e concretamente che la pratica tecnica è inseparabile dal nostro stato mentale e che per eccellere in tecnica occorre rinforzare lo spirito. Lavorando con il nostro corpo e lo spirito troveremo una forma di principio della vita. E’ questa l’idea di Kano quando fondò il Judo come metodo educativo.
Per quanto mi riguarda, voglio diventare ogni giorno migliore.
Migliorare non in rapporto agli altri, ma nei confronti di me stesso e di ciò che sono oggi.
Domani voglio essere migliore di oggi intellettualmente, moralmente, energeticamente e tecnicamente.
Per me questa è la via del Budo.

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